
La disciplina dell’Unione Europea sulle società di comodo, le c.d. “shell company”, ha inizio con la proposta di direttiva della Commissione n. 565 del 22 dicembre 2021, al fine di stabilire norme su società che di fatto, per lunghissimo tempo, non sono state regolamentate.
La proposta di direttiva (al momento preliminare) viene così approvata al 97% dei voti in fase parlamentare europea, a metà dello scorso gennaio.
Tra incertezze tecniche e sulla data di attuazione, la direttiva denominata “Unshell” o “ATAD 3 (Anti-Tax Avoidance Directive)” contiene un assetto normativo, che una volta applicato, consentirà agli Stati membri di prevenire, individuare e contrastare l’uso improprio delle shell companies a fini fiscali.
Ma vediamo come e perché si è giunti a questa proposta di direttiva e le sue ripercussioni.
Qual è l’obiettivo della ATAD 3?
Lo scopo della Direttiva ATAD3, che dovrebbe entrare in vigore il 1° gennaio 2024, è quello di identificare le società che negli anni hanno fatto un uso improprio e reiterato delle esenzioni e/o agevolazioni fiscali previste dalla direttiva sulle società “madri e figlie”, della direttiva sugli “interessi e le royalties”, e dalle convenzioni contro la doppia imposizione, disconoscendo loro agevolazioni fiscali e benefit giuridici.
Infatti, queste entità spesso hanno sfruttato anche una doppia “non imposizione” da ambo gli Stati membri interessati.
L’obiettivo della direttiva, quindi, è quello di attuare misure idonee e utili a promuovere un sistema fiscale robusto, efficiente ed equo nella stessa Unione europea.
Chi sono le società di comodo e a quali società si applicherà la direttiva ATAD 3
Per definizione, le società di comodo sono quelle entità “non operative”, ovvero che non esercitano una effettiva attività commerciale e non rispondono a esigenze di tipo imprenditoriale. Perseguono invece altri fini, come quello della mera detenzione e/o gestione di beni patrimoniali per conto del beneficiario economico.
Secondo l’articolo 1, sono oggetto della presente direttiva tutte le società che fanno parte della comunità europea (salvo alcune entità regolamentate come ad esempio banche, assicurazioni, fondi d’investimento, società quotate), e che sono considerate fiscalmente residenti e che sono ammissibili a ricevere un certificato di residenza fiscale in uno Stato membro.
Un primo passaggio da affrontare nell’applicazione della direttiva è quello di verificare che una società soddisfi contemporaneamente gli indicatori denominati “gateway test” disciplinati dall’articolo 6 della proposta di direttiva e sono i seguenti:
- Prevalenza di ricavi da fonti passive come interessi, royalties e dividendi (c.d. passive income) nei due anni fiscali precedenti, ossia più del 65% del proprio reddito o più del 75% del suo attivo è costituito da beni immobili e mobili destinati ad uso dei soci;
- È principalmente coinvolta in attività transfrontaliere nei due anni fiscali precedenti (opera per più del 60% al di fuori del suo Stato membro)
- La gestione quotidiana e il processo decisionale non vengono svolti nella sede amministrativa della società.
Le entità che non superano il gateway test non sono considerate shell companies e quindi non vi è nessun obbligo ulteriore rispetto a quelli dichiarativi di fine anno.
In caso contrario, si è considerati un entità a rischio e si presume che sia un'entità di comodo, quindi shell companies. In questo caso specifico, la società è tenuta a fornire un adeguata documentazione necessaria a corroborare quanto già indicato nella dichiarazione fiscale di fine esercizio.
Potenziali implicazioni e conseguenze sanzionatorie per le shell companies
Una volta provato che l’entità è una società di comodo, essa dovrà fornire alcuni elementi di corroborazione (tramite prove documentali) di quanto indicato in dichiarazione dei redditi annuale i c.d. requisiti di genuinità (o “substance test”) e sono:
- Messa a disposizione di locali fisici nel paese di residenza fiscale della società;
- Disponibilità di un conto corrente bancario attivo all’interno dell’Unione Europea;
- Un effettività dell’organo amministrativo. Da un lato, gli amministratori della società dovranno essere residenti nello stesso paese di residenza dell’entità e essere in possesso di skills che siano compatibili con l’attività svolta dalla società stessa. Dall’altro lato, la società dovrà dimostrare di avere del personale dedicato alla sua attività.
Una volta provati i tre requisiti del substance test, si potrà richiedere la non applicazione della parte sanzionatoria della direttiva e non si sarà quindi considerati una shell companies, in quanto si è in grado di provare che si dispone di una sostanza minima per l’esercizio fiscale (articolo 8 della proposta di direttiva).
La società che non supera il substance test e che quindi non sia in grado di provare tramite documentazione i tre requisiti di genuinità incorre in diverse conseguenze a livello fiscale (capo III della proposta di direttiva).
Una prima implicazione è quella relativa alla negazione della concessione di un certificato di residenza fiscale da parte dello Stato membro di residenza. Questa negazione non dovrebbe mettere in discussione le norme nazionali dello Stato membro dell'impresa per quanto riguarda la residenza fiscale e i relativi obblighi, ma sicuramente negano l'accesso della società alle direttive e ai benefici dei trattati.
Per chiarezza, non modificano la residenza fiscale dell'entità di comodo né impediscono a tale Stato membro di tassare l'entità stessa, ma viene rilasciato un certificato di residenza fiscale attestante che l'impresa non ha diritto ai benefici degli accordi e delle convenzioni che prevedono l'eliminazione della doppia imposizione sul reddito e, se del caso, sul capitale, e degli accordi internazionali aventi finalità o effetti analoghi nonché degli articoli 4, 5 e 6 della direttiva 2011/96/UE (Direttiva madre/figlia) e dell'articolo 1 della direttiva 2003/49/CE (Direttiva interessi e royalties).
Un ulteriore conseguenza messa in pratica per scoraggiare lo sviluppo e l’espandersi dell’utilizzo delle shell companies da parte dei loro azionisti, sono sanzioni di tipo pecuniario (capo IV della proposta di direttiva).
Le autorità amministrativo-fiscali dello Stato membro di residenza dell’azionista possono rivalersi su di esso per quella parte di utili, su cui di fatto, non vi è stata nessuna applicazione di tassazione.
Le sanzioni previste saranno effettive, proporzionate e dissuasive e nella pratica, pari al 5 % del fatturato dell'impresa nell'esercizio fiscale pertinente, se l’entità stessa non rispetta gli obblighi di comunicazione della sostanza minima o se presenta una falsa dichiarazione in merito (c.d. principio del “look-through”).
Se la società ha ricavi nulli o bassi rispetto alla tassazione effettivamente dovuta, potrebbe inoltre vedersi tassati i beni detenuti al suo attivo.
Roadmap della direttiva ATAD 3
La Comunità Europea ha effettivamente fissato un calendario piuttosto ambizioso riguardo l’applicazione ed i recepimento da parte degli Stati membri della ATAD 3.
Il Consiglio dell'UE avrà ora l'ultima parola sull'adozione della Direttiva ATAD3, e l'obiettivo è ancora ufficialmente quello di far sì che gli Stati membri dell'UE implementino l'ATAD3 nella loro legislazione nazionale al fine di rendere la direttiva effettiva dal 1° gennaio 2024.
È bene sottolineare che la ATAD3 viene adottata secondo la procedura legislativa speciale con consultazione e ciò significa che la sua adozione è soggetta al voto unanime di tutti gli Stati membri, che però, ad oggi, non è garantito.
Infatti, alcuni Stati membri sarebbero restii all’applicazione del regime sanzionatori, e favorevoli alla limitazione delle conseguenze al solo diniego dei benefici previsti dalle direttive UE, eliminando ogni riferimento alle conseguenze fiscali, come per esempio la Svezia.
Ad oggi, la tempistica del voto del Consiglio dell’UE non è ancora noto, ma nessuna modifica sulla data di entrata in vigore è stata apportata.
Punti in sospeso della ATAD 3
Tutti gli Stati membri sono generalmente favorevoli a una norma che limiti l'uso improprio delle società di comodo all'interno dell'UE, anche se ci sono ancora diverse argomentazioni che necessiterebbero di maggiore chiarezza da parte del legislatore europeo.
Un primo punto è relativo alle conseguenze fiscali, che non sono ancora chiare, quando è coinvolto un Paese non appartenente all'UE e che potrebbe portare a una doppia imposizione. In questo caso, ci sono molte incertezze sull'eventuale applicazione di una sanzione pecuniaria e sulla sua entità.
Altro punto poco chiaro, riguarda le modalità di recepimento della Direttiva da parte dei legislatori nazionali. Infatti, si presuppone che vi sarà un'attuazione frammentata, con una traslazione dell’entrata in vigore per il 1° gennaio 2025. Anche se, in altri casi, gli Stati membri hanno semplicemente adottato il testo delle direttive in gran parte inalterato, come nel caso della DAC 6. In più, gli orientamenti legislativi locali potrebbero portare a differenze d’interpretazione, ad esempio in relazione ai gateway test e alla questione se un accordo dia luogo a un beneficio fiscale.
Infine, non è da sottovalutare l’impatto della direttiva ATAD 3 sulla gestione dei costi di conformità dei gruppi societari che operano in tutta l’Unione Europea relativamente all’onere della prova, soprattutto per quelle strutture più ampie. Tendenzialmente, quando si applicano le attuali disposizioni antiabuso, spetta alle autorità fiscali dimostrare che l'entità in esame sia una sorta di “scatola vuota”. Con l’attuazione dell'ATAD3, invece, sarà il contribuente stesso a dover dimostrare di non essere una shell companies, sulla base dei criteri dettati dalla direttiva. Inoltre, per la società in esame, non sarà possibile evitare lo scambio automatico di informazioni tra gli Stati membri, innescando così potenziali rischi aggiuntivi relativi alla negazione dei benefici delle direttive e delle Convenzioni.
Lo stesso onere, non sarà solo sostenuto dalla società definita di comodo, ma graverà anche sugli enti amministrativi e fiscali, che dovranno mettere in campo le risorse adeguate alle verifiche della documentazione consegnata dalla società, che senza l’applicazione della direttiva stessa, non avrebbe dovuto fornire.
Potrebbe quindi accadere che alcuni Stati membri si oppongano al raggiungimento dell’unanimità richiesta per l’adozione della norma.
In conclusione, visto l’impatto notevole sulle imprese che svolgono attività nell’Unione Europea e l’aspirazione del legislatore di far entrare in vigore la direttiva a breve, i gruppi internazionali e le società che potrebbero rientrare nell'ambito di applicazione dell'ATAD 3, devono valutare con urgenza, le implicazioni della norma sulla loro struttura societaria e le eventuali modifiche da apportare.